Nella vita ogni presa di posizione, anche quella che sembra più innocua, ha delle conseguenze che possono diventare gravissime, per non parlare del fatto che non prendere posizioni contro ciò che ci arreca danno è ancor più grave perché l’indifferenza di chi dovrebbe tutelare il cittadino è la peggiore delle colpe.
Da tempo si discute degli effetti disastrosi dei Pfas, sostanze perfluoroalchiliche che si fissano negli organismi umani e animali contaminandoli e provocando patologie come il tumore ai reni; il cancro ai testicoli; malattie della tiroide; ipertensione in gravidanza; malformazioni genetiche; sterilità; colite ulcerosa; aumento del colesterolo e molte altre.
I Pfas vengono utilizzati industrialmente per impermeabilizzare i tessuti, ma anche le calzature, oppure per tappeti; pelli; sono utilizzati produrre insetticidi; schiume antincendio; vernici; cera per pavimenti e detersivi o per rivestire i contenitori dei cibi. Uno degli impieghi più noti di questi composti è probabilmente quello per il rivestimento antiaderente delle pentole da cucina, il cosiddetto: Teflon®. I Pfas inquinano il nostro Paese da più di 60 anni, ma recentemente, quando le popolazioni del Veneto si sono accorte dei gravissimi danni causati dai residui che poi hanno contaminano i terreni e le acque che vengono utilizzati per coltivare i campi dove crescono i vegetali e gli altri prodotti agricoli che arrivano sulle nostre tavole, sono state condotte proteste e azioni legali per allontanare le industrie che lavorano i Pfas dal Nord Est dell’Italia.
Nel 2017, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato l’acido perfluoroottanoico (PFOA), la sostanza per- e polifluoroalchilica (PFAS) più studiata, come cancerogeno per l’uomo sulla base di prove epidemiologiche su soggetti affetti da tumori al rene e al testicolo che sono fortemente esposti a questi elementi. Questi studi sono innovativi per la loro valutazione diretta dell’esposizione a PFOA e altri PFAS in campioni di siero depositati, nonché per la loro valutazione dei rischi a livelli di esposizione paragonabili a quelli riscontrati nella popolazione generale o tra il personale militare. In quanto tali, queste indagini hanno il potenziale per informare future valutazioni della cancerogenicità del PFOA e per estendere la nostra comprensione ad altri PFAS che non sono stati ancora valutati.
È stata osservata una maggiore incidenza e mortalità del cancro al rene tra gli individui con un’elevata esposizione al PFOA dall’impiego in un impianto chimico che produce PFAS o dalla residenza nella comunità circostante con acqua potabile contaminata. I ricercatori del DCEG hanno anche condotto uno studio dei casi annidati per indagare il rischio di carcinoma a cellule renali (RCC, la forma più comune di cancro del rene) in relazione alle concentrazioni di PFOA e altri sette PFAS misurati in campioni di siero depositati all’interno della prostata , Studio di screening del cancro del polmone, del colon-retto e dell’ovaio (PLCO). L’indagine ha incluso 324 casi di RCC diagnosticati in media 8,8 anni dopo la flebotomia (range 2-18 anni) e 324 controlli abbinati individualmente. I risultati hanno indicato un aumento del rischio associato all’aumento dell’esposizione al PFOA (Shearer et al, JNCI, 2020). Questi risultati si aggiungono al peso dell’evidenza che il PFOA è un cancerogeno renale e dimostrano per la prima volta che esposizioni paragonabili a quelle osservate nella popolazione generale sono associate allo sviluppo del cancro del rene.
Sono attualmente in corso studi per capire se la contaminazione da PFAS PFOA possa anche causare il cancro ovarico ed endometriale.
Prove provenienti da studi occupazionali e comunitari suggeriscono che livelli elevati di PFOA e di altre sostanze chimiche perfluorurate possono essere associati a un aumento del rischio di incidenza e mortalità del cancro alla prostata. I vigili del fuoco, che hanno livelli elevati di PFOA dall’esposizione professionale alla schiuma antincendio, hanno un rischio maggiore di cancro alla prostata rispetto alla popolazione generale.
Per quello che riguarda il cancro tiroideo e la leucemia infantile, sono stati condotti degli studi degli effetti dalla contaminazione da PFAS da parte del DCEG (Division of Cancer Epidemiology and Genetics) presso i centri di maternità finlandese e si è appurato che il PFAS nella Finnish Maternity Cohort (FMC) nei livelli sierici prenatali portano ad un rischio di leucemia linfoblastica acuta (ALL) nei bambini e livelli sierici pre-diagnostici e cancro papillare della tiroide nelle madri. I partecipanti sono stati identificati collegando i partecipanti FMC al registro nazionale finlandese dei tumori tra le madri con sieri disponibili. Casi e controlli sono campionati da madri primipare senza storia di cancro al momento del primo parto, con un parto vivo singleton a termine (37-42 settimane) senza sindrome di Down. Lo studio include 400 casi di ALL (bambini <15 anni) e 400 casi di cancro alla tiroide tra le madri, utilizzando la corrispondenza della frequenza e un gruppo di controllo condiviso. Questo studio contribuirà alla letteratura limitata che descrive l’associazione tra PFAS e leucemia infantile e cancro alla tiroide nelle donne.
Nelle acque potabili degli Stati Uniti sono presenti quasi 42 mila potenziali fonti di sostanze poli e perfluoroalchiliche (Pfas), composti chimici permanenti molto dannosi per la salute umana, che si accumulano nell’organismo e non si dissolvono nell’ambiente. La stima, impressionante, arriva dall’ultimo studio dell’Environmental Working Group, l’associazione ambientalista che da anni conduce ricerche sul tema, ha appena pubblicato un rapporto su ciò che si trova nelle acque di superficie o nell’acqua potabile.
L’EPA ha stabilito avvisi sanitari per PFOA e PFOS basati sulla valutazione dell’agenzia dell’ultima scienza sottoposta a revisione paritaria per fornire agli operatori del sistema di acqua potabile e ai funzionari statali, tribali e locali che hanno la responsabilità primaria di supervisionare questi sistemi, con informazioni sulla salute rischi di queste sostanze chimiche, in modo che possano intraprendere le azioni appropriate per proteggere i loro residenti. L’EPA si impegna a sostenere gli stati e i sistemi idrici pubblici mentre determinano le misure appropriate per ridurre l’esposizione a PFOA e PFOS nell’acqua potabile. Con l’evoluzione della scienza sugli effetti sulla salute di queste sostanze chimiche, l’EPA continuerà a valutare nuove prove.
Per fornire agli americani, comprese le popolazioni più sensibili, un margine di protezione dall’esposizione ai PFOA e ai PFAS presenti nell’acqua potabile, l’EPA ha stabilito i livelli di avviso per la salute a 70 parti per trilione.
Purtroppo in Italia lo Stato deve ancora fissare limiti per la diffusione delle sostanze perfluroalchiliche (PFAS), uniformi su tutto il territorio nazionale.
ll problema è nazionale e interessa tutti; bisogna prendere in considerazione i limiti suggeriti dall’Istituto Superiore di Sanità e Ispra, riportati anche all’interno della relazione, ma anche le esperienze e gli studi già affrontati all’estero. Si tratta di un intervento indispensabile per la tutela dell’ambiente non più derogabile. Auspichiamo che la politica si impegni seriamente per tutelare la salute dei cittadini, anche perché recentemente la Provincia di Alessandria ha autorizzato la Solvay a scaricare queste sostanze stando entro limiti esageratamente permissivi e questa decisione non può non destare sospetto di interessi privati che contrastano fortemente con gli interessi pubblici e la tutela della salute.
L’allarme da contaminazione da PFAS purtroppo è già scattato anche a Milano, dove l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) della Lombardia ha individuato nelle acque del capoluogo un composto prodotto in esclusiva da Solvay, che sfugge alle depurazioni e rifluisce nel parco agricolo di Milano Sud.
Il composto C6O4 era stato individuato già nel 2020 nella rete fognaria per scorrere verso Sud ed uscendo nei pressi dell’area naturale protetta, sede di diversi presidi di Slow Food.
Il composto C6O4 è stato individuato, in concentrazioni piuttosto alte (con picchi di 1 microgrammo/litro nel settembre 2020) anche nel depuratore di Mariano Comense, a Nord di Milano. Arpa Lombardia aveva denunciato la presenza di questo composto già nel 2020 davanti alla Commissione d’inchiesta sugli illeciti ambientali della Camera, ma la notizia è ancora sconosciuta agli abitanti di Milano, forse anche perché la politica locale non ha ancora preso posizioni per salvaguardare la salute dei cittadini. TG
Fonti: National Cancer Institute – Division of Cancer Epidemiology and Genetics; American Water Works Associations; EWC; United States Environmental Protection Agency; Arpa Veneto; Arpa Lombardia; ANSA