Come abbiamo già potuto capire dalla lettura dell’articolo pubblicato su queste pagine ieri: I PFAS delle Ecomafie, con il consenso dei politici locali, sono arrivati a Milano, le sostanze fluoroalchiliche oltre ad essere dannosissime per l’ambiente in cui viviamo, sono anche cancerogene e molto nocive per animali e umani; abbiamo a che fare con componenti chimici perenni che oltre ad accumularsi nei tessuti umani, causando effetti negativi sulla salute, non possono essere eliminati in alcun modo in quanto creano pellicole resistenti all’acqua ed ai liquidi, sono composti inquinanti organici persistenti e fanno parte delle cosiddette sostanze chimiche eterne.
Le persone assorbono i PFAS principalmente attraverso l’acqua potabile, i prodotti alimentari e gli imballaggi alimentari come la carta da forno, per esempio, le polveri, i cosmetici, i tessuti rivestiti con PFAS e altri prodotti di consumo apparentemente insospettabili. L’esposizione umana ai PFAS provoca cancro renale, cancro testicolare, malattia tiroidea, danni epatici e una serie di effetti indesiderati sullo sviluppo dei feti che poi danno luogo a malformazioni gravi nei neonati.
Tutto ha inizio a metà degli anni ’60, quando la società, acronimo di Ricerche Marzotto, stabilisce a Trissino, in provincia di Vicenza, il suo polo di ricerca. Il marchio di alta moda cerca un prodotto chimico che renda la pelle e il materiale tessile resistenti all’acqua. Lo stabilimento, però, viene costruito sopra una zona di ricarica della falda considerata la seconda più grande d’Europa e già nel 1966 una fuga di acido fluoridrico avvelena la vegetazione circostante. Nonostante Pfas e Pfoe siano utilizzati dall’industria da quasi una sessantina d’anni e da tempo si conoscano i loro effetti deleteri, ci ostiniamo a utilizzare questi prodotti e a far finta di niente, salvo poi un giorno accorgerci di aver contratto un cancro o aver partorito un bambino malato o malformato, come continua ad accadere in Veneto da molti anni, nelle zone interessate dalla contaminazione da Pfas.
A questo proposito vorrei ricordare a tutti i lettori che tra i bimbi nati nelle zone più esposte ai Pfas si verifica una maggiore incidenza di pre-eclampsia (La pre-eclampsia può causare severi danni agli organi, in particolare al cervello, al rene e al fegato), diabete gestazionale, di nati con peso molto basso, di nati piccoli per età gestazionale e di malformazioni cromosomiche, tra cui anomalie del sistema nervoso, all’apparato endocrino e ormonale, oltre che al sistema circolatorio.
In Veneto, nel 2019, si calcolava che gli abitanti già contaminati da Pfas fossero oltre 350.000, su una popolazione di circa 4.900.000.
La contaminazione da Pfas si aggiunge a tantissime altre fonti di inquinamento ambientale dando origine a quello che viene chiamato “effetto cocktail”. La principale preoccupazione riguarda i microinquinanti sono proprio le miscele di singole sostanze chimiche che possono combinarsi con altre e rappresentare così un considerevole rischio per la salute anche se apparentemente i limiti di legge risulterebbero rispettati. L’Eea (Agenzia Europea dell’Ambiente) spiega che «Nell’ambiente, le sostanze chimiche che penetrano nelle acque superficiali possono mescolarsi con sali minerali naturali e composti organici, nonché con sostanze nutritive provenienti da acque reflue, scarichi agricoli e altre acque di scarico. Le sostanze chimiche che raggiungono l’acqua dalle emissioni atmosferiche si aggiungono al mix». Il rapporto rileva che «Il rilevamento di diverse centinaia di sostanze chimiche organiche a basse concentrazioni in un singolo campione di acqua dolce è comune e il livello di rischio che ciò potrebbe presentare non è sufficientemente compreso».
Le analisi effettuate su 1.248 alimenti (614 di origine vegetale e 634 di origine animale) da parte del laboratorio Arpav di Verona, del dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro (Padova) ci dicono che sono state rinvenute altre molecole inquinanti, oltre a Pfoa e Pfos (le uniche due molecole oggetto dell’indagine resa pubblica dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2019), sia a catena lunga che a catena corta, ovvero i Pfas di più recente utilizzo”. Secondo Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare, l’assunzione settimanale tollerabile attraverso la dieta è pari a 4,4 ng/kg (nanogrammi per chilo) di peso corporeo per quattro molecole (Pfoa, Pfos, Pfna, Pfhxs), riducendo di più di quattro volte il limite precedentemente fissato nel 2018 per i soli Pfoa e Pfos (era di 19 ng/Kg). “Nonostante la forte revisione al ribasso dei parametri di sicurezza sia avvenuta da più di un anno – è scritto nel dossier – non è comprensibile, e tantomeno accettabile, che non sia seguita alcuna nuova valutazione né tantomeno un’azione concreta di tutela della popolazione e delle filiere agroalimentari e zootecniche da parte della Regione Veneto”.
Bisogna comprendere che l’inquinamento da prodotti chimici eterni è qualcosa di molto serio e pericoloso che può rendere le zone contaminate inadatte all’insediamento umano. Se osserviamo la cartina della Regione Veneto, notiamo che gran parte dei territori risultano già contaminati secondo vari gradi di rischio che sono stati suddivisi in 5 aree: rossa (di cui fanno parte 21 comuni); grigia (13 comuni); arancione (50 comuni); gialla (56 comuni); verde (50 comuni).
Pfas e Pfoa hanno effetti dannosi anche sulla fertilità maschile e possono provocare aborti.
Alla fine del 2018 vengono pubblicati su alcune riviste scientifiche i risultati delle analisi su oltre 200 giovani residenti nella zona rossa raccolti dal gruppo di ricerca dell’unità operativa complessa di Andrologia e Medicina della riproduzione dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova.
Carlo Foresta e la sua equipe hanno evidenziato come la sostanza chimica interferisca con l’attività ormonale.
«Abbiamo dimostrato che i Pfas si legano al recettore per il testosterone, riducendone di oltre il 40% l’attività», spiega il professore. La storica scoperta, che spiega il calo di nascite e l’alto tasso di malattie correlate, ha confermato inoltre come l’inquinamento da Pfas è stato riscontrato nel cordone ombelicale e nella placenta di donne esposte. Si può ipotizzare una precoce interferenza dei Pfas sullo sviluppo gonadico e sulla documentata riduzione di sviluppo nell’altezza e nel peso dei figli nati da queste donne esposte. Questi risultati suggeriscono che i Pfas, fra le tante sostanze inquinanti ambientali, possono avere un ruolo nell’universalmente riconosciuto incremento delle patologie andrologiche, come infertilità, il criptorchidismo, i tumori del testicolo.
Lo stesso gruppo di lavoro ha denunciato l’impatto dell’inquinante durante la gravidanza, confermando gli alti tassi di preeclampsia (+20%), diabete gestazionale (52%) e nascite premature (30%). Il professor Foresta ha dimostrato il passaggio della sostanza nella fase gestazionale tra la madre e il feto.
La contaminazione delle acque potabili della città di Milano è attualmente in corso. L’unica possibilità di fermare l’inquinamento è rendere Pfas e Pfoa fuorilegge, anche perché, come vedremo nell’articolo seguente, scritto dal giornalista Marco Scorzato per Il Giornale di Vicenza, una volta prodotti e liberati, questi composti chimici non sono più controllabili né eliminabili.
Per l’importanza delle informazioni riportate e l’urgenza di informare i cittadini su quanto sta accadendo a Milano, e su cosa potrebbe accadere a breve, mi sono permesso di assemblare varie notizie estratte da alcuni siti web, anche in considerazione del fatto che ciò che viene pubblicato su internet rischia di andare disperso se non viene periodicamente riproposto ed evidenziato da altre parti, meglio se da siti senza scopo di lucro e pubblicità come la nostra pagina di News di Radio Atlanta Milano.
Nella speranza che queste informazioni possano essere utili ai cittadini milanesi, anticipo che personalmente farò il possibile per organizzare a breve una diretta con chi studia questo problema ed i giornalisti esperti in materia, aggiungendo magari qualche politico locale che ci spieghi in che modo intende intervenire per tutelare la salute dei 7.400.000 cittadini che abitano nell’area metropolitana milanese.
Ora Vi lascio alla lettura di ciò che Vi ho appena preannunciato.
Restiamo vigili e critici nei confronti di chi gestisce le nostre vite, sia a livello burocratico che decisionale. Un saluto da Tony Graffio
LA MITENI CONTAMINA IL TERRITORIO VICENTINO ANCHE DOPO AVER CESSATO L’ATTIVITA’ INDUSTRIALE
La barriera idraulica c’è, ma «non tiene in modo efficace». Risultato: il sito Miteni, a tre anni dal fallimento dell’azienda, risulta ancora «notevolmente inquinato da tutti i Pfas, con una tendenza all’aumento», almeno per quanto riguarda il piezometro Mw18, quello di controllo a Sud dello stabilimento aziendale. La fotografia è scattata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eco-reati, cosiddetta “ecomafie”, con una relazione sulla diffusione delle sostanze perfluoroalchiliche. Il caso vicentino, che secondo le indagini ruota attorno alla ex Miteni di Trissino, è il più noto, ma la relazione analizza anche il caso della Solvay di Alessandria, in Piemonte. Il documento è il frutto di un lungo lavoro, con l’audizione di molti soggetti, sia pubblici che privati, e si conclude con la spinta alla definizione di «limiti di legge da parte dello Stato», sia per poter agire sul fronte della prevenzione sia per dare strumenti ai magistrati sul fronte giudiziario.
Sui tempi e sulla consapevolezza della contaminazione è in corso un processo. Dal canto suo, la Commissione ha rimesso in fila una serie di elementi per inquadrare la vicenda. Ricorda, tra le altre cose, che un principio di barriera idraulica era stato realizzato «da Miteni nel 2005, con tre pozzi nel lato Sud dello stabilimento, per emungere l’acqua di falda per il successivo trattamento». I vertici dell’azienda sarebbero dunque stati «consapevoli della situazione di inquinamento» della falda. L’esistenza di una barriera nel 2005 era stata constatata anche dall’Arpav, come riferito in audizione dal dirigente Alessandro Bizzotto. La commissione sottolinea che «l’implementazione dei pozzi nel periodo 2013-2019 si è resa necessaria» alla luce del monitoraggio della falda eseguito dall’Arpav stessa. Sono state realizzate «più linee di barriera», ora costituita da 41 pozzi di emungimento. Tuttavia, di questi, nell’ultima verifica effettuata a settembre 2021 ne sono risultati non funzionanti 27, per vari motivi.
La commissione scrive che, secondo il rapporto di Icig, ultimo proprietario di Miteni, «dal 2013 al giugno 2020 sono stati estratti circa 5,8 milioni di metri cubi di acqua per un totale di 17,7 chili di solventi clorurati, 1.244 chili dei benzotrifuoruri e 183 chili di composti perfluoroalchilici». Nonostante il sito non sia più produttivo e l’azienda sia stata dichiarata fallita nel 2018, concentrazioni di sostanze inquinanti sono ancora presenti. «La complessità idrogeologica della falda spiega la ragione delle oscillazioni osservate nel tempo» nella presenza delle sostanze, precisa la relazione. Così, nel periodo ottobre 2020-marzo 2021, «si riscontrano in elevatissime concentrazioni fino a 11 mila nanogrammi per litro per il Pfoa, 3 mila per il Pfos, 19 mila per la somma dei Pfas» oltre ai «5 mila per il GenX e 5 mila per il C604», le sostanze più recenti. Questa, per la commissione, «è la prova evidente che la barriera non tiene ancora in modo efficace».
Diventa perciò importante realizzare il «progetto di palancolatura fisica che Icig è obbligata a effettuare», progetto «già approvato dal Comune di Trissino a marzo 2020». Si tratta di posizionare «lastre d’acciaio fino a 20 metri di profondità per impedire all’acqua del Poscola di entrare al di sotto del sito». Ma al momento c’è un problema: le palancole possono essere sistemate solo dopo che sarà completata la liberazione dei terreni, ma la società indiana Viva Life Sciences Private Limited che ha acquisito gli impianti per trasferirli in India è in ritardo di un anno sul cronoprogramma, in quanto «non ha potuto far arrivare in Italia» i propri dipendenti per le restrizioni legate al Covid. I lavori dovrebbero concludersi solo alla fine di quest’anno.
La relazione, citando l’audizione del funzionario Arpav Paolo Zilli, ricorda che «ad aggravare la situazione già complessa sono state rilevate anche differenti fonti di pressione a Nord del sito, prima degli impianti Miteni: una sorta di inquinamento di fondo che Arpav sta cercando di approfondire». A tal proposito Icig sostiene che le concentrazioni di Pfas al piezometro Mw18 sono dovute a più fattori e «alla immissione storica» risalente agli anni Settanta e Ottanta «nelle matrici ambientali», ma su questo la commissione non concorda. La relazione spiega invece che nel maggio 2020, nel corso dell’audizione dell’Arpav «è emerso per la prima volta che risulta inquinata anche l’area ex Rimar», la prima sede, in collina, di quella che poi diventò Miteni. «Rispetto a Miteni si tratta di presenze di ordine inferiore, sia di solventi clorurati che di Pfoa e Pfos».
Marco Scorzato