All’inizio degli anni ’30, Albert Lejeune era un uomo di successo. Dirigeva due autorevoli quotidiani, molto diffusi in Francia, uno di essi era Le Petit Journal con sede a Parigi; l’altro era Le Petit Niçois con sede a Nizza. Entrambi i giornali, oltre ad un folto pubblico di lettori attiravano anche molti inserzionisti, ma evidentemente il loro direttore voleva renderli ancora più popolari.
Albert Lejeune cercava evidentemente di avere un ulteriore ritorno pubblicitario che mettesse ancor più in luce i suoi giornali (Le Petit Jornal di Parigi era il quarto quotidiano nazionale per numero di lettori) e poiché a quel tempo, l’interesse per il ciclismo era immenso, pensò di organizzare una gara ciclistica. André Leducq, Antonin Magne, Georges Speicher, René Vietto erano i grandi protagonisti dello sport nazionale. Le loro imprese sulle strade del Tour de France incantavano e la loro attività non si interrompeva neppure all’arrivo dell’inverno, quando gli appassionati andavano a vederli correre nei velodromi cittadini.
In tutta Europa, le gare di un giorno da città a città abbondavano, mentre le corse a tappe erano molto più rare. C’era ovviamente il Tour de France e il Giro d’Italia (il Giro di Spagna nacque solo nel 1935) e altri due eventi della durata di 8 giorni durante i quali i piloti francesi spiccavano: il Giro della Catalogna e il Giro dei Paesi Baschi.
Ricordiamo che Le Petit Journal è stato uno dei primi giornali a sostenere il ciclismo. Nel 1891 il suo editore Pierre Giffard iniziò la corsa Parigi-Brest-Parigi. Lejeune ha avuto l’idea di una gara per rivaleggiare con le gare di sei giorni in pista, utilizzando le strade per offrire ai lettori più drammaticità e sofferenza, inoltre Lejeune voleva collegare
le sedi dei suoi due giornali con una corsa ciclistica innovativa che all’inizio della primavera avrebbe portato i ciclisti dalla fredda Parigi al Sud della Francia, verso il mare e il sole.
Albert Lejeune pensò di invitare i migliori ciclisti dell’epoca; dopo aver ricevuto diversi rifiuti, finalmente qualcuno accettò, tra questi i francesi Georges Speicher, Benoît Faure, Raymond Louviot e Maurice Archambaud e l’italiano Francesco Camusso. Soltanto una ventina di ciclisti decisero di partecipare a questa nuova corsa a tappe; il numero dei ciclisti era ancora troppo esiguo per garantire il successo della competizione, inoltre si rischiava che qualcuno non raggiungesse la meta finale, considerata la stagione ancora fredda. Ci volevano almeno una trentina di partecipanti per garantire alla corsa un certo interesse. Era indispensabile trovare subito altri partecipanti, così Albert Lejeune prese la valigia e andò in Belgio per tentare di convincere altri corridori. Fu facile convincere Bernard Van Rysselberghe e Jean Aerts. L’incontro con Jef Demuysere andò male; quello con Félicien Vervaecke malissimo, i due si presero a spintoni e a male parole, forse volò anche qualche ceffone, ma il motivo del litigio non fu mai chiarito; poteva essere un problema di soldi insufficienti o di tasso alcolico troppo alto. Eppure Lejeune restava fermamente convinto che la sua idea avrebbe avuto un grande successo e che i ciclisti avrebbero affrontato una piacevole scampagnata sotto il tiepido sole primaverile.
Quando Lejeune incontrò Alphons Schepers, vincitore di due Liegi-Bastogne-Liegi (1929 e 1931) gli prospettò la bellezza di una “Corsa verso il sole”, il belga rispose che a lui il sole non è che lo entusiasmasse troppo, perché preferiva la pioggia e le temperature più fresche. Evidentemente, dallo scontro con Félicien Vervaecke, Lejeune aveva imparato qualcosa perché questa volta parlando di premi fu facile convincere il campione belga, anche se questi aggiunse che avrebbe partecipato volentieri, ma che non pensava di poter vincere, in quanto il bel tempo non faceva per lui.
Contrariamente alle aspettative degli organizzatori, piovve molto intensamente per una settimana, proprio nel periodo in cui si svolse la corsa, dal 14 marzo, fino al 19 marzo 1933. A Nizza nessuno ricordava tanta pioggia. Vinse proprio Alphons Schepers che festeggiò con una bottiglia di champagne e due ragazze alla Locanda del Sole.
La gara di oggi è un mini Tour de France con prove a cronometro e arrivi in vetta, ma la prima versione era stata progettata per aiutare i ciclisti su pista ad affrontare la strada e infatti attraversava le valli della Loira e del Rodano invece delle vicine montagne.
La prima edizione era iniziata fuori dal Café Rozes in Place d’Italie a Parigi.
Dalla sua ideazione la gara ha cambiato notevolmente formato. La Seconda Guerra Mondiale interruppe la corsa ma, una volta terminato il conflitto e l’occupazione, fu condotta solo nel 1946 prima di tornare negli anni ’50. Nel 1951 rinasce come “Paris – Côte d’Azur” e infine nel 1954 prende il nome di Paris – Nice.
Avrebbe dovuto essere la corsa al sole, ma spesso i corridori hanno dovuto affrontare condizioni atmosferiche molto difficili lungo il percorso.
Nel 1951, una squadra di operai venne incaricata di ripulire dalla neve il Col de la Batterie prima della gara. Intere tappe sono state percorse mentre cadeva la neve oppure sono state annullate per le avverse condizioni atmosferiche.
Nel 1956, i ciclisti dovettero affrontare ancora il brutto tempo. Quell’inverno era stato eccezionalmente terribile in Francia con temperature record. A Corrèze si registrò un’incredibile temperatura di -35 ° C, mentre ad Antibes, sulla costa del Mar Mediterraneo caddero cm 31 di neve.
Nel 1980 i corridori protestarono contro il mal tempo organizzando uno sciopero, ma come al solito nel ciclismo, il gruppo non è rimasto compatto e alla fine 43 corridori hanno portato a termine la gara; egli esclusi furono 11.
Anche in altre occasioni si ebbero problemi a causa di bufere, neve, e maltempo; per arrivare al 2016, quando gli organizzatori hanno cancellato la terza tappa della Parigi-Nizza, la Cusset-Mont Brouilly di 165,5 chilometri, sulle colline del Massiccio Centrale. Partito sotto una pioggia battente, il gruppo ha incontrato nei primi 100 chilometri un tempo da tregenda, tanto che la giuria aveva pensato di fermare la corsa per riprenderla a 40 chilometri dal traguardo.
Nel 2022, ottantesima edizione, c’è stata parecchia pioggia, mai i corridori si sono ammalati come quest’anno. Alla fine della Parigi-Nizza il gruppo non era folto come quando è partito domenica 6 marzo: molte squadre sono state decimate da diverse forme virali, che hanno portato al ritiro di ben 40 corridori. Alla fine ne arriveranno soltanto 59 su 154 partiti.
Certamente ci sono stati anche gli sfortunati finiti a terra che per questo sono stati costretti a fermarsi, ma la maggior parte dei corridori ritirati è stata vittima dei famosi malanni stagionali, quasi spariti negli ultimi due anni. La Israel Premier Tech è rimasta con un solo uomo in corsa, il canadese Hugo Houle, unico sopravvissuto ai suoi 6 compagni.
«Nel gruppo sono molti i corridori che hanno avuto la tosse – ha fatto notare Van Aert –. Certamente questo preoccupa molto, ma dobbiamo anche notare che il Covid adesso è meno aggressivo». Ed ecco allora che si ripresentano quei malesseri stagionali che anticipano l’arrivo della primavera: non si tratterebbe però di virus specifici, perché la sintomatologia è molto varia, come la bronchite, che ha costretto Sonny Colbrelli a fermarsi, oppure raffreddori e sinusiti, senza contare che i virus intestinali non mancano mai.
Non si era mai vista una cosa simile negli ultimi 25 anni. Metà gruppo si è ammalato, non di Covid, però. Da quello che si legge nei comunicati stampa, siamo di fronte ad una serie di patologie che vanno dalle tracheobronchiti a bronchiti influenzali, fino alle infezioni delle alte vie respiratorie che hanno decimato il gruppo e i soggetti portatori di queste patologie faticano maledettamente a recuperare, tanto è vero che tardano a tornare in gruppo, come ad esempio il due volte campione del mondo.
Cosa sta accadendo nel mondo degli atleti? Perché sembrano essersi abbassate le difese immunitarie di ciclisti, tennisti e altri campioni soggetti a grandi sforzi fisici? Quale effetto possono avere i vaccini sulla salute dell’uomo? Per ora se ne sa poco, ma è chiaro che questa situazione va studiata attentamente per capire come mai siano così presenti tante patologie ai bronchi ed ai polmoni in atleti solitamente sanissimi.
Intanto, in questo clima, oggi si corre l’edizione numero 106 del Giro delle Fiandre, della Ronde, per dirla alla fiamminga, seconda classica monumento di questa stagione martoriata da una infinità di corridori malati. Anche il Giro delle Fiandre ha il suo bel numero di defezioni, dal campione del mondo Julian Alaphilippe che non ha corso nemmeno la Sanremo, a Wout Van Aert, che sulla carta oggi sarebbe stato l’uomo da battere ma è stato allettato dal Covid.
Troppi team faticano a mettere assieme squadre per svolgere attività sportiva. Troppi atleti sono fuori gioco. Troppi gli atleti colpiti da questa influenza che attanaglia non solo le loro gambe. La domanda è: perché? Forse è il caso che qualcuno si ponga questa domanda e si interroghi nella speranza che altri provino a trovare delle risposte. Non è una suggestione, ma una emergenza che spinge le squadre a non abbassare la guardia e a fermare i corridori con sintomi da raffreddamento che vengono anche sottoposti a tampone, mentre alcune squadre hanno deciso che nei protocolli sanitari bisogna includere anche un test cardiologico.
È di poche ore fa la notizia che a Sonny Colbrelli, vincitore della Parigi – Roubaix 2021, è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo per correggere un’aritmia da cui era stato colpito e che gli aveva provocato un arresto cardiaco; come era già accaduto lo scorso anno al calciatore Cristian Erikssen. Non si sa se Coldrelli potrà tornare a pedalare per agonismo.
Fonti: Girodiruota.com; L’équipe; Tuttobiciweb; La Gazzetta dello Sport; Tony Graffo